Le plusvalenze da cripto-attività sono tassabili anche se realizzate prima del 2023 e, dopo la sentenza di Bergamo, questo non è più un dettaglio da addetti ai lavori ma un messaggio diretto al piccolo e medio investitore. Dal 2023 il TUIR ha una norma dedicata, la famosa lett. c‑sexies dell’art. 67, e le ultime leggi di bilancio hanno reso il quadro più severo: niente franchigia da 2.000 euro dal 2025 e aliquota al 33% dal 2026, con un affrancamento al 18% come via d’uscita “a pagamento”.
Per anni il silenzio normativo sulle cripto è stato interpretato come un lasciapassare fiscale: niente norma ad hoc, niente imposte. In realtà, già prima della Legge di Bilancio 2023 l’Agenzia delle Entrate aveva ricondotto le plusvalenze da cripto nell’alveo dell’art. 67 TUIR, trattandole per analogia come valute estere o strumenti finanziari, con il famoso limite dei 51.645,69 euro per 7 giorni lavorativi.
La Corte di Giustizia Tributaria di Bergamo (sent. n. 573/2025) ha confermato questa lettura: le plusvalenze ante 2023 sono imponibili perché le cripto sono “perfettamente assimilabili agli strumenti finanziari”, e la Legge n. 197/2022 non ha creato una nuova imposta retroattiva ma ha solo messo nero su bianco un’impostazione già esistente.
Dal 2023: entra in scena la lett. c‑sexies
La Legge di Bilancio 2023 (L. 29 dicembre 2022 n. 197) ha introdotto nel TUIR la lett. c‑sexies) dell’art. 67, che definisce come “redditi diversi” le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso, cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, comunque denominate. La plusvalenza è data dalla differenza tra il corrispettivo percepito (o il valore normale delle cripto permutate) e il costo o valore di acquisto, determinato con il criterio del costo medio ponderato per categoria omogenea.
Nel 2023 e nel 2024 la regola è semplice: imposta sostitutiva del 26% sulle plusvalenze complessive che superano i 2.000 euro nel periodo d’imposta; se la somma algebrica tra plus e minus è sotto tale soglia, il risultato resta fiscalmente irrilevante. È una vera e propria franchigia: sotto i 2.000 euro il reddito non è assoggettato ad imposte, ma non genera neppure minusvalenze “spendibili” in futuro.
Com’è cambiato e come cambierà
| Periodo | Aliquota imposta sostitutiva | Franchigia 2.000 euro | Riferimenti essenziali |
|---|---|---|---|
| Fino al 2022 | 12,5% o 26% a seconda della qualificazione (strumenti finanziari / redditi diversi) |
Nessuna | Art. 67 TUIR (interpretazione AE); prassi e giurisprudenza su valute estere e strumenti finanziari |
| 2023–2024 | 26% | Sì, su plus/minus complessive | Art. 67, c. 1, lett. c‑sexies TUIR; L. 197/2022; istruzioni Modello Redditi PF 2025 |
| Dal 2025 | 26% | Abolita | Legge di bilancio 2025 (L. 207/2024) e norme collegate |
| Dal 2026 | 33% | Nessuna | Art. 1, comma 23 L. 207/2024 e modifiche a regime cripto-attività |
Retroattività o tipizzazione di qualcosa che già c’era?
Il punto delicato è capire se lo Stato stia “tassando all’indietro” o se stia solo mettendo ordine. La linea ora prevalente è che non esiste una nuova imposta retroattiva su redditi prima esenti, ma la tipizzazione di fattispecie che già trovavano copertura nelle norme generali (art. 67 TUIR) e nella prassi dell’Agenzia delle Entrate, con cripto assimilate a strumenti finanziari o a valute estere.
La sentenza di Bergamo è netta: l’art. 1, comma 127, L. 197/2022 non introduce un tributo nuovo, ma consolida una linea interpretativa; per questo motivo non si viola il principio di irretroattività né quello di capacità contributiva, almeno secondo il giudice tributario. Ciò non esclude futuri dubbi di legittimità costituzionale, ma per il momento il messaggio operativo è chiaro: chi ha realizzato plusvalenze su cripto prima del 2023 non può contare sulla tesi “erano esenti per definizione”.
L’affrancamento al 18%: l’unica vera “via di mezzo”
A fronte dell’abolizione della franchigia e dell’aumento dell’aliquota al 33%, il legislatore ha previsto, con la Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024), la possibilità di affrancare le cripto-attività pagando un’imposta sostitutiva del 18% sul valore al 1° gennaio 2025. Il meccanismo è semplice: si paga il 18% sul valore normale delle cripto a quella data, quel valore diventa il nuovo costo fiscale e riduce la plusvalenza tassabile se in futuro si venderanno gli asset a un prezzo più alto.
L’opzione è a pagamento, va esercitata entro termini precisi e può essere saldata in un’unica soluzione o in rate, con interessi sulle rate successive alla prima. È uno strumento interessante per chi ha portafogli importanti e vede all’orizzonte l’aliquota al 33%, mentre ha poco senso per chi ha posizioni modeste o molto volatili: in questi casi il rischio è pagare un’imposta anticipata su valori che potrebbero ridursi.
Cosa deve fare concretamente chi ha cripto
Chi ha operato in cripto tra il 2018 e il 2022 deve partire da un lavoro “sporco ma necessario”: recuperare movimenti da exchange, wallet e conti, ricostruire plusvalenze e minusvalenze e capire se, in base all’impostazione oggi confermata dai giudici, esistono redditi non dichiarati. Per il 2023–2024 occorre ricalcolare il risultato tenendo conto della franchigia di 2.000 euro, che molti non hanno applicato o hanno interpretato come “soglia on/off” anziché come vera franchigia.
Il passo successivo è una scelta: valutare se conviene regolarizzare spontaneamente (dichiarazioni integrative e ravvedimento), se utilizzare gli strumenti di affrancamento al 18% e come comportarsi di fronte a eventuali accertamenti alla luce della giurisprudenza più recente. In uno scenario dove la “zona grigia” è sempre più stretta e le regole diventano al tempo stesso più chiare e più onerose, ignorare il problema non è più un’opzione: chi investe in cripto deve gestire numeri, documenti e scelte fiscali con la stessa attenzione che riserva ai grafici di prezzo.

