Associazioni culturali: terzo settore o anche no?

Dal 1° gennaio 2026 l’associazione culturale che resta “fuori” dal Terzo settore entra in un mondo fiscale molto più severo: i corrispettivi specifici ai soci diventano reddito imponibile, il regime 398/1991 scompare e, di fatto, l’unico vero scudo residuo è una corretta progettazione tra attività istituzionale “pura”, raccolte fondi, contributi e un uso consapevole dei regimi forfetari disponibili. Le ultime novità intervengono soprattutto sul versante IVA, con la proroga al 2036 del regime di esclusione IVA per gli enti associativi, che però non modifica l’impianto penalizzante sulle imposte dirette per le associazioni culturali non ETS.

Il nuovo contesto: perché il 2026 è uno spartiacque

Occorre considerare cosa accade a un ente associativo culturale che decide di non diventare ETS e di restare mera associazione non commerciale ai fini civilistici e fiscali. Il punto chiave è che il Codice del Terzo settore, con gli articoli 89 e 102, non incide solo sugli ETS ma ridisegna il regime di tutti gli enti associativi, colpendo proprio chi resta fuori dal RUNTS.

Due interventi sono particolarmente dirompenti. Da un lato, la riscrittura dell’art. 148, comma 3, TUIR: dal 2026 la decommercializzazione dei corrispettivi specifici viene mantenuta solo per associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose e sportive dilettantistiche; restano quindi tagliate fuori le culturali, le assistenziali, le APS non ETS e gli enti della formazione extra‑scolastica. Dall’altro lato, l’abrogazione delle norme che avevano esteso il regime 398/1991: dal 2026 il 398 sopravvive, in pratica, solo per ASD/SSD, mentre associazioni culturali, pro loco, cori, filodrammatiche e simili perdono un pilastro trentennale di semplificazione IVA e redditi.

Cosa perde l’associazione culturale non ETS dal 2026

Per l’associazione culturale non iscritta al RUNTS la prima vera perdita è il venir meno della decommercializzazione dei corrispettivi specifici verso i soci ex art. 148, comma 3, TUIR. Significa che tutte le entrate da corsi, laboratori, spettacoli, visite guidate e servizi analoghi resi a pagamento ai soci assumono, dal 2026, natura commerciale a tutti gli effetti, con obbligo di tassazione IRES e, al ricorrere dei presupposti, rilevanza anche IVA.

Sul fronte dei regimi agevolati, la fuoriuscita dal 398/1991 è altrettanto impattante: la 398 non sarà più utilizzabile dalle associazioni culturali, né ETS né non ETS, ma resterà beneficio tipizzato per lo sport dilettantistico non RUNTS. Si torna quindi alla coppia “regime ordinario / regime forfetario art. 145 TUIR”, con quest’ultimo che diventa di fatto l’unica opzione semplificata per gli enti non commerciali associativi fuori dalla riforma.

Restano invece non imponibili, perché non toccate dalle modifiche, le entrate tipiche istituzionali: quote associative “pure”, contributi a fondo perduto coerenti con le finalità statutarie, erogazioni liberali dei soci o di terzi, entro i limiti e alle condizioni previste dal TUIR. Questo nucleo “protetto” diventa però sempre più stretto rispetto al volume complessivo di attività che molte associazioni culturali svolgono per sostenersi.

Le agevolazioni che restano in piedi

Nonostante il quadro peggiorativo, alcuni strumenti continuano a funzionare per le associazioni non ETS. Uno di questi è la disciplina delle raccolte pubbliche di fondi occasionali di cui all’art. 143, comma 3, lett. a), TUIR: le raccolte effettuate in occasione di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione, anche con cessione di beni di modico valore o servizi, restano non imponibili ai fini delle imposte sui redditi, a condizione che siano effettivamente pubbliche e occasionali.

A questo si affianca il trattamento dei contributi pubblici per attività convenzionate, disciplinato dall’art. 143, comma 3, lett. b), TUIR: i contributi corrisposti da enti pubblici per attività con finalità sociale e conformi alle finalità istituzionali dell’ente non concorrono a formare il reddito, indipendentemente dal fatto che assumano forma di corrispettivo o di contributo a fondo perduto. In pratica, le convenzioni con la PA per servizi culturali di interesse generale possono ancora beneficiare di un regime favorevole, purché l’attività sia qualificata come principale e istituzionale.

Resta, almeno teoricamente, anche la norma “in bianco” dell’art. 143, comma 1, TUIR, che esclude dalla commercialità talune prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c., rese senza specifica organizzazione e a corrispettivi non superiori ai costi di diretta imputazione. Tuttavia, la prassi e la dottrina ne evidenziano l’applicazione estremamente limitata, proprio perché la coesistenza di tutti i requisiti (natura dell’attività, assenza di organizzazione, corrispettivo pari ai soli costi diretti) è rara nelle associazioni strutturate.

Il ruolo (scomodo) del regime forfetario art. 145 TUIR

Con la 398 fuori gioco per le associazioni culturali, il regime forfetario di cui all’art. 145 TUIR torna al centro per gli enti non commerciali che hanno volumi contenuti e possono stare in contabilità semplificata. Lo schema è noto: il reddito d’impresa si determina applicando coefficienti di redditività ai ricavi commerciali (art. 85 TUIR), distinti per tipologia di attività e fasce di ricavi, cui si sommano alcune componenti positive specifiche (plusvalenze, sopravvenienze, proventi immobiliari, dividendi e interessi).

La vera criticità è che, a differenza del 398, l’art. 145 non prevede un parallelo regime semplificato ai fini IVA: l’ente resta soggetto alle regole IVA ordinarie per fatturazione, registri, liquidazioni e dichiarazione annuale, con il solo alleggerimento del calcolo del reddito ai fini IRES. Questo rende il regime 145 un compromesso accettabile per realtà piccole, ma molto meno appetibile rispetto al vecchio 398, specie quando l’attività commerciale è accessoria ma stabile.

Tabella di confronto sintetico

Profilo Prima del 2026 (ass. culturale non ETS) Dal 2026 (ass. culturale non ETS)
Corrispettivi specifici ai soci In gran parte decommercializzati ex art. 148, c. 3 TUIR  Sempre imponibili come reddito d’impresa 
Regime 398/1991 Applicabile a numerose associazioni culturali e simili  Ammesso solo per ASD/SSD non RUNTS 
Regime forfetario art. 145 Poco utilizzato, “seconda scelta” rispetto al 398  Diventa l’unico forfetario TUIR per associazioni non ETS 
Trattamento IVA associativa Decommercializzazione ampia ex art. 4, c. 4 DPR 633/72 con termine originario 2026  Esclusione IVA prorogata fino al 2036 per enti associativi 

IVA: che cosa è cambiato di recente

Le novità più fresche degli ultimi mesi non hanno toccato tanto il TUIR quanto il versante IVA degli enti associativi ed ETS. In particolare, con il d.lgs. 186/2025 e i relativi provvedimenti attuativi, è stata confermata la proroga al 2036 del passaggio dal regime di esclusione a quello di esenzione IVA per le operazioni degli enti associativi non commerciali disciplinate dal vecchio art. 4, comma 4, DPR 633/72.

Tradotto: per tutta una serie di prestazioni rese ai soci e agli associati, il trattamento IVA agevolato viene conservato per altri dieci anni, evitando l’impatto immediato del nuovo regime IVA pieno sulle attività istituzionali e paracommerciali. Per le associazioni culturali non ETS, questo significa un “cuscinetto” operativo lato IVA, ma non modifica in nulla il fatto che, dal 2026, ai fini delle imposte dirette i corrispettivi specifici diventano reddito d’impresa.

Va quindi tenuto ben distinto il doppio piano: da un lato, a fini reddituali, la stretta è confermata e non è stata oggetto di proroghe; dall’altro lato, a fini IVA, la proroga al 2036 attenua il salto immediato verso un regime meno favorevole sulle attività istituzionali degli enti associativi. Questo rende ancora più importante la coerenza tra inquadramento fiscale e operatività concreta dell’associazione.

ETS, RUNTS e associazioni culturali: la scelta strategica

Occorre mettere in evidenza che la combinazione tra perdita della decommercializzazione, fine del 398 e difficoltà applicative dell’art. 143 TUIR rende quasi obbligata una riflessione strategica per gli enti culturali. Per chi è eleggibile come ETS, il confronto deve essere tra la disciplina residua degli enti non commerciali “tradizionali” e quella del Codice del Terzo settore (Titolo X), dove si trovano nuovi regimi forfetari dedicati (ad esempio per ODV e APS) e un ecosistema di agevolazioni più coerente.

D’altra parte, restare fuori dal RUNTS significa assumersi una serie di rischi anche sul fronte accertativo: la maggiore commercialità dei proventi rende più probabile il superamento degli indicatori dell’art. 149 TUIR, con possibile perdita della qualifica di ente non commerciale e conseguente tassazione come soggetto IRES “pieno”. In questa prospettiva, l’adesione al RUNTS non è solo una scelta di “accesso alle agevolazioni”, ma uno strumento di presidio strutturale della natura non profit dell’ente.

Per le associazioni culturali con base associativa reale e attività stabile verso il pubblico, la domanda di fondo diventa quindi: ha ancora senso rimanere fuori dal Terzo settore in uno scenario in cui i vantaggi “storici” si sono di fatto dissolti, lasciando in piedi solo agevolazioni episodiche e un regime forfetario meno generoso?


FAQ collegate (richiami ad approfondimenti)

Cosa si intende per corrispettivi specifici di un’associazione culturale e come saranno tassati dal 2026?

Per corrispettivi specifici si intendono le somme versate da soci, associati, partecipanti o tesserati a fronte di un servizio determinato: ad esempio la quota di partecipazione a un corso, laboratorio, stage, rassegna, visita guidata, seminario o spettacolo organizzato dall’associazione culturale. Non parliamo quindi della “quota associativa annuale” generica, ma del pagamento che il socio effettua per ottenere uno specifico servizio o attività.

Fino al 31 dicembre 2025, per molte associazioni culturali tali corrispettivi specifici sono trattati come non commerciali ai fini delle imposte dirette, grazie alla decommercializzazione prevista dall’art. 148, comma 3, TUIR, purché si tratti di attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e rese nei confronti degli associati. Dal 1° gennaio 2026, per effetto dell’art. 89, comma 4, D.Lgs. 117/2017, le associazioni culturali vengono espunte dall’elenco dei soggetti che beneficiano di questa decommercializzazione: i corrispettivi specifici resi ai soci diventano sempre reddito d’impresa, imponibile IRES (e potenzialmente IVA, se sussistono i presupposti) per le associazioni culturali non ETS.


Come funziona il regime forfetario dell’art. 145 TUIR per un ente culturale e quando conviene sceglierlo?

Il regime forfetario dell’art. 145 TUIR è il “paracadute” naturale per gli enti non commerciali che svolgono anche attività commerciale in via non prevalente e sono ammessi alla contabilità semplificata (art. 18 DPR 600/1973). Invece di determinare il reddito d’impresa sulla base dei componenti positivi e negativi effettivi, si applicano ai ricavi commerciali (ex art. 85 TUIR) specifici coefficienti di redditività, diversi a seconda che si tratti di prestazioni di servizi o di altre attività e in funzione dello scaglione di ricavi.

Per le prestazioni di servizi (tipiche di molte associazioni culturali: corsi, iniziative formative, spettacoli, ecc.) i coefficienti oggi sono, per semplificare, pari al 15% dei ricavi fino a una soglia di circa 15.500 euro e al 25% per la parte eccedente fino a circa 309.800 euro; per le “altre attività” i coefficienti sono più bassi (10% e 15% su soglie più alte). Il reddito così forfetariamente determinato costituisce la base imponibile IRES, alla quale si aggiungono alcune voci specifiche (plusvalenze, sopravvenienze, proventi immobiliari, dividendi e interessi), mentre non è previsto alcun regime semplificato parallelo ai fini IVA: l’ente resta soggetto alla disciplina IVA ordinaria per fatturazione, registri e dichiarazioni.

Per un ente culturale non ETS il regime 145 conviene soprattutto quando: i ricavi commerciali non sono elevati; l’attività commerciale è marginale ma stabile (numerosi corrispettivi specifici dal 2026); i costi diretti e indiretti non sono tali da rendere più favorevole un regime “analitico” ordinario. Quando invece l’ente ha costi commerciali significativi (personale, affitti, cachet, attrezzature) o margini molto ridotti, può risultare più conveniente valutare il regime ordinario, proprio perché il forfetario prescinde dai costi effettivi e “presume” un margine standard.


Quali raccolte fondi di un’associazione non ETS restano fuori dal reddito imponibile?

Per le associazioni non ETS continua a valere la disciplina dell’art. 143 TUIR sulle raccolte pubbliche occasionali di fondi. Restano fuori dal reddito imponibile i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante l’offerta di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, purché in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione.

I requisiti sono precisi e cumulativi: l’iniziativa deve essere pubblica (rivolta a una pluralità indistinta di soggetti), deve essere occasionale (non sistematica, né strutturalmente ripetitiva nell’anno), deve avvenire in concomitanza con una celebrazione, ricorrenza o campagna di sensibilizzazione, e i beni ceduti, se presenti, devono essere di modico valore, tali da non configurare un rapporto sinallagmatico pieno. L’ente che intende beneficiare della non imponibilità deve redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito rendiconto separato per ogni raccolta pubblica, come richiesto dall’art. 20 DPR 600/1973, che specifichi entrate e spese dell’evento. Eventi strutturalmente ripetuti, campagne permanenti o vendite abituali di beni/servizi escono da questo perimetro e rientrano nell’attività commerciale imponibile.


Quali differenze concrete ci sono tra restare associazione culturale non ETS e diventare ETS (APS) dal 2026?

Dal 2026 la differenza non è più solo “di etichetta” ma di assetto fiscale strutturale.

Restando associazione culturale non ETS: i corrispettivi specifici dei soci per attività in diretta attuazione degli scopi istituzionali diventano reddito d’impresa imponibile, perché la decommercializzazione ex art. 148, comma 3, TUIR non si applica più alle culturali; il regime 398/1991 non è più utilizzabile per i proventi commerciali (resta di fatto riservato allo sport dilettantistico); il solo regime agevolato “di sistema” è il forfetario ex art. 145 TUIR, con tutti i suoi limiti; l’ente continua a basarsi sulla disciplina ordinaria degli enti non commerciali (artt. 143‑149 TUIR), con maggior rischio di perdere la qualifica di ente non commerciale se la parte commerciale diventa prevalente.

Diventando ETS, e in particolare APS iscritta al RUNTS: si accede alla disciplina speciale del Codice del Terzo settore (Titolo X), con regimi fiscali dedicati (es. regimi forfetari ETS, soglie e coefficienti propri per attività di interesse generale e attività diverse, regole più favorevoli sui costi specifici rispetto al concetto di costo “diretto” dell’art. 143 TUIR); si beneficia di un quadro unitario su imposte dirette, IVA e tributi locali coordinato con il diritto UE; si dispone di limiti e parametri chiari per mantenere la qualifica di ETS non commerciale, evitando la “scivolata” generalizzata verso il regime IRES pieno.

In pratica, per un’associazione culturale che svolge attività continuativa verso i soci e il pubblico, restare fuori dal Terzo settore significa dal 2026 convivere con una tassazione ordinaria su quasi tutti i servizi a pagamento e con pochi strumenti agevolativi residui, mentre diventare APS ETS consente di ricollocare una parte importante delle attività in regimi strutturati e più favorevoli, a fronte però di vincoli più stringenti su statuto, democraticità interna, bilanci e controlli.


La proroga IVA al 2036: cosa cambia davvero per associazioni culturali ed ETS?

La proroga IVA al 2036 è l’effetto combinato di decisioni legislative culminate nel D.Lgs. 4 dicembre 2025 n. 186, che ha rinviato al 1° gennaio 2036 l’entrata in vigore delle nuove norme IVA sugli enti associativi e sul Terzo settore. In sostanza, le operazioni rese dagli enti associativi (ETS e non ETS) che oggi rientrano nel regime di “esclusione IVA” continuano a godere dello stesso trattamento fino al 31 dicembre 2035; il passaggio al nuovo regime di esenzione IVA viene rinviato di dieci anni.

Per le associazioni culturali non ETS ciò significa che, anche se dal 2026 i corrispettivi specifici sono imponibili ai fini delle imposte dirette, sul fronte IVA non vi è un cambiamento immediato della disciplina già vigente: l’impatto resta principalmente reddituale, non IVA. Per gli ETS, la proroga consente di gestire il periodo di avvio della fiscalità del Terzo settore in un contesto di maggiore continuità IVA, mantenendo per più tempo le attuali regole e rinviando l’adeguamento a un quadro europeo ancora in evoluzione.

In termini operativi, la proroga evita, almeno per ora, un aggravio IVA generalizzato su molte prestazioni rese a soci e utenti in ambito culturale e sociale, ma non tocca in alcun modo la stretta già definita sul piano delle imposte dirette, né restituisce alle associazioni culturali i benefici persi su corrispettivi specifici e regime 398/1991.

Author: Antonello

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