I regimi contabili di cui potranno usufruire gli enti non commerciali che decideranno di non entrare a far parte del terzo settore saranno quelli previsti dal TUIR, ed in particolare dall’art. 145, all’interno del quale viene illustrato il “regime forfettario per gli enc”. Tale regime forfettario negli anni era stato dimenticato dagli utilizzatori, in quanto la legge 398/1991 aveva previsto un trattamento fiscale ancor più conveniente per gli enti no profit.
Il d.lgs 117/2017 ed i provvedimenti ad esso correlati hanno però abolito tale previsione legislativa, mantenendo la possibilità di usufruirne solo per le ASD, contribuendo così ad una rinnovata attenzione del mondo associativo nei confronti dell’art. 145 del D.P.R 917/86.
Il regime forfettario entra in campo nel momento in cui l’ente non commerciale produce delle entrate considerabili come imponibili ai fini della tassazione e può essere utilizzato dall’ente al rispetto di determinati requisiti.
Requisiti per il regime forfettario degli ENC
Il regime forfettario previsto dall’art. 145 del TUIR permette all’ente non commerciale di applicare al reddito prodotto dall’esercizio di attività di natura commerciale, un coefficiente di redditività, in modo da abbattere la base imponibile ai fini della tassazione.
La base imponibile dovrà essere calcolata sulla base di quanto previsto dall’art. 85 del TUIR, escludendo però i proventi derivanti da attività istituzionale per i quali si può beneficiare della decommercializzazione, a tale somma saranno poi applicati i coefficienti di redditività differenziati sulla base del tipo di attività esercitata dall’ente e dall’ammontare dei ricavi conseguiti.
I coefficienti di redditività si differenziano, come in precedenza accennato, in base al tipo di attività esercitata e all’ammontare dei ricavi, nel dettaglio:
- Attività – prestazioni di servizi
- fino a 15.493,71 euro, coefficiente pari al 15%;
- oltre a 15.493,71 € e fino a € 309.874,14 pari al 25%.
- Altre attività
- fino a € 25.822,84, coefficiente del 10 %;
- oltre a 25.822,84 e fino a 516.456,90 pari al 15%.
Dopo aver individuato il coefficiente di redditività adatto all’ente considerato, ed aver calcolato quindi il reddito forfettizzato, si dovrà sommare quanto disposto dagli artt. 86,88,89 e 90 del TUIR.
Nel caso in cui si esercitino più attività, la scelta del coefficiente dovrà essere fatta in base all’attività considerabile prevalente o in caso di mancata divisione dei ricavi, si dovranno tenere presenti i coefficienti previsti per le prestazioni di servizi, così come specificato dall’art. 145 del TUIR.
L’opzione per il regime forfettario ha durata triennale, ma l’ente può perdere tale beneficio nel caso in cui alla chiusura del periodo di imposta l’ente superi i seguenti limiti:
- ricavi da prestazione di servizi superiori a € 309.874,14;
- ricavi da altre attività superiori a € 516.456,90.
Presunzione di commercialità
La determinazione dei proventi oggetto di tassazione, derivanti dall’impossibilità dell’applicazione del principio di decommercializzazione, è fondamentale ai fini sia del corretto calcolo della base imponibile, sia della statuizione dei limiti e dei criteri di determinazione commerciale dell’ente al fine di evitare un’eventuale perdita della qualifica di organismo di natura non commerciale ed anche la tassazione delle proprie entrate.
L’art. 148 del Tuir al comma 1 prevede una regola generale, valevole per tutti gli enti non commerciali di tipo associativo, attraverso la quale conferma l’intassabilità di alcuni elementi tipicamente esenti, specificando che:
“non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo”.
Le entrate degli enti non commerciali relative a contributi associativi, quote associative, donazioni ed erogazioni liberali non sono quindi oggetto di tassazione, mentre i proventi derivanti da corrispettivi specifici anche se derivanti dall’esercizio di un’attività qualificabile come istituzionale, non possono più essere decommercializzati, il legislatore con la modifica apportata all’art. 148, comma 3 dall’art. 89 del D.lgs 117/2017, ha tolto questa possibilità.
L’art. 148 comma 2 del D.P.R. 917/86 illustra inoltre le attività che sono sempre da considerarsi di natura commerciale, e sono:
- le cessioni di beni;
- le prestazioni di servizi.
Anche se effettate nei confronti degli associati o dei partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto.
L’art. 148 comma 2 specifica inoltre che “detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità”.
Tale elenco viene infine completato all’interno del comma 4 del medesimo articolo, ove si evidenziano altre attività considerabili sempre come commerciali:
- le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita;
- le somministrazioni di pasti;
- le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore;
- le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito;
- le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali;
- la gestione di spacci aziendali e di mense;
- l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici;
- la gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;
- la pubblicità commerciale;
- le telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.
Queste sono le considerazioni che un ente non commerciale dovrà valutare ai fini di determinare la reale natura dei proventi derivanti dall’attività da esso esercitata.
molto chiaro grazie