
L’articolo 26 del DDL Bilancio 2026 non solo blocca la compensazione dei crediti d’imposta agevolativi con i contributi previdenziali e i premi assicurativi, ma diventa una trappola micidiale per i crediti da Superbonus ed edilizi, spesso utilizzabili solo entro una finestra temporale annuale. In assenza di un intervento correttivo, molti di questi crediti rischiano di scadere e andare persi, trasformando in perdite secche ciò che doveva essere un sostegno agli investimenti e alla liquidità delle imprese.
Da dove nasce la stretta
La giustificazione ufficiale è sempre la stessa: contrastare le indebite compensazioni e migliorare il controllo sui crediti fiscali, dopo gli abusi legati ai bonus edilizi e alle cessioni “creative” di crediti inesistenti. Negli ultimi anni il legislatore ha stratificato visti di conformità, controlli preventivi e blocchi selettivi per chi ha ruoli scaduti oltre certe soglie, intervenendo più volte sull’articolo 17 del D.Lgs. 241/1997 e sui decreti emergenziali (in particolare il D.L. 39/2024).
Con l’articolo 26 si cambia però passo: non si limita più solo chi ha frodato o chi ha posizioni patologiche, ma si restringe l’uso stesso della compensazione per tutti i crediti agevolativi, colpendo anche chi ha maturato crediti veri, certificati e già contabilizzati nei piani finanziari. È una scelta politica chiara: invece di affinare i controlli mirati, si decide di rendere strutturalmente più difficile usare i crediti d’imposta come leva di liquidità.
Cosa dice l’articolo 26
Il DDL Bilancio 2026 prevede che, dal 1° luglio 2026, tutti i crediti d’imposta “diversi da quelli emergenti dalle liquidazioni delle imposte” non possano più essere utilizzati in compensazione, tramite modello F24, per il pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi INAIL di cui all’articolo 17, comma 2, lettere e), f) e g) del D.Lgs. 241/1997. Il divieto si estende anche ai crediti d’imposta ceduti o acquisiti da soggetti diversi dal titolare originario, includendo quindi i crediti da Superbonus e dagli altri bonus edilizi circolati sul mercato.
Parallelamente, a decorrere dal 1° gennaio 2026, la soglia di debito iscritto a ruolo oltre la quale scatta il blocco generalizzato delle compensazioni viene abbassata da 100.000 a 50.000 euro, per imposte erariali e carichi affidati alla riscossione con termini scaduti e non sospesi. Sopra questa soglia, qualsiasi F24 con compensazione viene scartato, impedendo di fatto l’utilizzo di qualunque credito fino alla regolarizzazione del debito.
Il caso specifico dei crediti da Superbonus
I crediti derivanti da Superbonus e dagli altri bonus edilizi, nella forma di detrazioni trasformate in crediti cedibili o sconti in fattura, sono già oggi vincolati da calendari rigidi: il loro utilizzo o la loro cessione devono avvenire entro finestre temporali precise, generalmente entro l’anno successivo alla spesa o secondo il piano di rate annuali fissato dalla norma. Chi non riesce a utilizzarli o cederli entro le scadenze perde, di fatto, il beneficio, senza possibilità di rimediare oltre certi termini.
In questo scenario, il divieto di compensare questi crediti con contributi INPS e premi INAIL aggrava in modo drammatico il rischio di “decadenza”: imprese e professionisti che contavano sulla compensazione contributiva per assorbire il credito in tempo utile si ritroveranno con crediti bloccati, difficili da smaltire e destinati in parte a scadere. Il paradosso è evidente: il sistema prima spinge le imprese a lavorare a cantieri Superbonus accettando crediti come corrispettivo e poi, a partita chiusa, restringe i canali per smaltirli, fino a lasciarli morire in bilancio.
I numeri della liquidità bruciata
Le imprese dell’edilizia e dell’impiantistica, in particolare, hanno usato la compensazione dei crediti da bonus edilizi con i contributi e i premi assicurativi come principale cuscinetto di cassa per reggere l’onda lunga dei lavori agevolati. Togliere questa possibilità significa costringerle a versare integralmente contributi e premi in contanti, mentre i crediti restano immobilizzati nel cassetto fiscale o rischiano di scadere, bruciando margini e liquidità.
Per le piccole imprese e le partite IVA, spesso già appesantite da ritardi nei pagamenti e accesso al credito bancario complicato, l’effetto combinato di scadenze annuali dei crediti, blocco delle compensazioni e soglia ruoli abbassata a 50.000 euro è potenzialmente letale. Una stretta “tecnica” sulla carta si trasforma così in una compressione reale della liquidità, che mette a rischio continuità aziendale, occupazione e capacità di programmare nuovi lavori.
L’assurdo vantaggio indiretto per le banche
In assenza di un intervento legislativo che riapra i canali di utilizzo dei crediti o ne estenda le scadenze, l’unica via di fuga per molte imprese sarà cercare disperatamente cessionari disposti ad acquistare questi crediti, spesso a sconto, pur di non perderli del tutto. Indovinate chi si trova in posizione di forza in questo mercato ristretto e regolato su misura? Sempre loro: le banche e gli intermediari finanziari, che possono accettare crediti selezionati alle loro condizioni.
È l’ennesimo capolavoro: i crediti nati per sostenere imprese e contribuenti rischiano di trasformarsi in prodotti finanziari “svenduti” alle banche a causa di paletti normativi e scadenze impossibili da rispettare per chi lavora nell’economia reale. Si toglie alle imprese la possibilità di usare pienamente i crediti in compensazione e, di fatto, si spinge verso la cessione a soggetti che hanno tutta la pazienza e la capacità di pianificarne l’utilizzo negli anni, magari lucrando proprio sulla difficoltà altrui.
Le posizioni critiche e le ultime novità
Sul fronte istituzionale e associativo, il no all’articolo 26 è ampio e trasversale: Consiglio nazionale dei commercialisti, associazioni di categoria artigiane e industriali, organizzazioni di PMI e mondo edilizio chiedono lo stralcio del divieto o, quanto meno, la sua drastica limitazione ai grandi soggetti e ai soli crediti maturati dopo l’entrata in vigore della legge. Molte proposte insistono sulla necessità di escludere almeno i crediti già maturati e registrati, per evitare una retroattività di fatto che mette in discussione la certezza del diritto.
Le analisi più recenti sulla manovra segnalano che il Governo è ben consapevole del “vespaio” aperto dall’articolo 26 e ha lasciato trapelare la disponibilità a modifiche in Parlamento, ma al momento il testo resta formalmente in piedi, con tutte le sue criticità. Tutto si giocherà nella fase emendativa: o si riscrive davvero la norma, salvaguardando l’utilizzo in compensazione dei crediti (specie quelli con scadenza ravvicinata come i Superbonus) e alzando la soglia-ruoli, oppure ci si limiterà a qualche ritocco cosmetico, lasciando intatto il problema di fondo.
Una censura netta: misura punitiva e miope
Chiamare “lotta alle indebite compensazioni” un provvedimento che di fatto congela i crediti di chi ha lavorato, investito e rispettato le regole è, quantomeno, un esercizio di fantasia. Qui non si colpiscono i furbi, si colpisce lo strumento di cui si servono quotidianamente le imprese sane per respirare, trasformando la compensazione da valvola di sicurezza in un percorso a ostacoli.
Sul capitolo Superbonus, poi, la scelta sfiora l’autolesionismo: dopo aver spinto il sistema produttivo a lavorare “a crediti”, oggi si restringono i tempi e i canali per usarli, costringendo molti operatori a vedere i propri crediti evaporare o a regalarli alle banche pur di non perderli. È difficile non leggere in questa dinamica un gigantesco scarico di responsabilità: invece di correggere gli errori di progettazione dei bonus e rafforzare i controlli mirati, si fa pagare il conto a chi ha creduto nelle regole del gioco.
Se il Parlamento non interverrà con coraggio per salvaguardare la compensazione dei crediti agevolativi, prorogare le scadenze dei crediti edilizi e mantenere soglie di blocco ragionevoli, il messaggio alle imprese sarà chiarissimo: fidarsi delle promesse fiscali dello Stato è un azzardo. In questo scenario, chi ha più da temere non sono certo le banche che incassano crediti a sconto, ma le migliaia di imprese che vedono trasformarsi un incentivo in un boomerang, e che ancora una volta scoprono che il vero rischio d’impresa, in Italia, spesso siede dall’altra parte del tavolo.



