Si può affittare un immobile dato in comodato?

Chi ha ricevuto in godimento una casa può darla in locazione se il contratto non lo vieta, ma i canoni percepiti vengono fiscalmente attribuiti al proprietario.

Hai una casa di proprietà e l’hai data in comodato d’uso gratuito a tuo figlio, per le sue esigenze abitative. Lui però decide di affittarla ad altri e incassa i canoni di locazione dall’inquilino. È legale questo metodo? Si può affittare un immobile dato in comodato? E se sì, chi deve dichiarare i redditi e pagare le tasse sui proventi della locazione?

Per rispondere a queste domande bisogna sapere innanzitutto cos’è il contratto di comodato e cosa consente di fare a chi ha ricevuto in godimento l’immobile; poi occorre vedere i profili fiscali, perché senza una norma “di sbarramento” sarebbe fin troppo facile eludere il pagamento delle imposte dovute sui canoni di locazione incassati dagli inquilini, dando l’immobile in comodato ad un parente o ad un amico che poi affitta quelle case e infine nessuno dichiarerà i redditi incassati.

Il comodato d’uso gratuito

Il comodato è un contratto previsto dalla legge [1] con il quale il proprietario di una cosa mobile o di un bene immobile, come un appartamento, ne concede l’uso ad un altro soggetto. Il comodato è per sua natura gratuito, altrimenti se vi fosse un corrispettivo si avrebbe un prestito oneroso per le cose mobili e una vera e propria locazione per i beni immobili.

Il contratto può essere stipulato anche verbalmente, ma è preferibile la forma scritta soprattutto quando ha ad oggetto immobili, in modo da provare a quale titolo il bene viene occupato da un soggetto diverso dal proprietario. In tal caso il comodato d’uso va registrato entro 20 giorni dalla stipula ed è soggetto all’imposta di registro in misura fissa di 200 euro, oltre l’imposta di bollo.

Si può affittare una casa ricevuta in comodato?

Il comodatario, cioè colui che ha ricevuto il bene, deve custodirlo e conservarlo e non può servirsene per un uso diverso da quello stabilito nel contratto. Non può neppure concedere il godimento dell’immobile a un terzo se il proprietario non lo consente espressamente [2] e, se dovesse farlo, il proprietario potrà chiedere l’immediata restituzione della cosa ed avrà anche diritto al risarcimento dei danni.

La maggior parte dei contratti di comodato d’uso gratuito di immobili ad uso abitativo o commerciale contiene una clausola che vieta al comodatario di dare in locazione il bene ad altri soggetti: in questi casi egli deve utilizzarlo esclusivamente per sé o per le esigenze abitative e commerciali tipiche (ad esempio se è una casa potrà abitarla con il proprio nucleo familiare). Non è nemmeno consentito al comodatario mutare la destinazione dell’immobile, ad esempio trasformandolo da residenziale a commerciale o viceversa.

Infatti il comodato è un contratto “di favore” che consente a chi riceve l’immobile di usarlo senza dover pagare il canone ed è frequentemente utilizzato tra amici e parenti o in caso di speciali rapporti di cortesia. Ma proprio questa caratteristica si presta ad operazioni elusive: se il contratto di comodato non contiene il divieto che abbiamo appena visto, ed anzi il proprietario lo consente, il comodatario potrà affittare quell’immobile ad altri, perché ne ha la legittima disponibilità che gli è stata concessa dal proprietario.

Il comodatario può affittare l’immobile se il proprietario non glielo vieta.

Chi deve dichiarare i canoni di locazione incassati?

A questo punto però si verifica questa situazione: il comodatario stipula il contratto di locazione con gli inquilini e il proprietario non è parte di questo rapporto. Quindi i canoni verranno stabiliti e incassati dal comodatario, senza alcun intervento del proprietario (e se il conduttore non paga, il comodatario potrà anche intimargli lo sfratto per morosità). Ma il rapporto base dal quale è scaturito il tutto, cioè il contratto originario di comodato, resta vivo: con la caratteristica che esso vincola esclusivamente le parti che lo hanno stipulato e non i successivi inquilini.

In linguaggio giuridico si dice che il contratto di comodato produce solo effetti obbligatori tra le parti e non nei confronti dei terzi, mentre il diritto di proprietà è di tipo “reale”, cioè deve essere riconosciuto da chiunque. Sembra una sottile distinzione ma non lo è: comporta, infatti, che il reddito della locazione viene comunque imputato al proprietario dell’immobile e non al comodatario.

Questo principio è sancito dalla normativa tributaria [3] in base alla quale «i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale». Come vedi, il comodato non è menzionato poiché appunto esso non attribuisce alcun diritto reale, ma obbliga solo le parti che lo hanno stipulato.

L’accertamento fiscale sui redditi di affitto di case date in comodato

L’Agenzia delle Entrate utilizza appunto questo criterio [4] e richiede il pagamento delle imposte sui redditi di locazione al proprietario e non al comodatario. Anche la giurisprudenza ritiene valido questo metodo: in una recente sentenza, la Corte di Cassazione [5] ha affermato espressamente che il proprietario comodante è obbligato a dichiarare i redditi della locazione concessa dal comodatario a terzi.

Se il comodatario affitta, il reddito ottenuto è attribuito al comodante, che dovrà dichiararlo e pagare le imposte.

Il caso deciso riguardava tre immobili che un genitore aveva concesso in comodato ai figli ed essi li avevano poi affittati. Inutile la difesa del padre, sottoposto ad accertamento fiscale: la circostanza che il contratto di comodato prevedeva la possibilità per il comodatario di concedere ad altri l’uso della cosa è stata giudicata ininfluente. Anzi, è proprio la norma di legge che abbiamo citato ad escludere il comodatario dall’obbligo di dichiarazione dei canoni di locazione, imponendolo, invece, al proprietario.

In sostanza, l’elusione non è consentita: il metodo di concedere in comodato a parenti i propri immobili affinché li affittino loro ad estranei non funziona e tutti i canoni percepiti o comunque stabiliti nel contratto di locazione rimangono attribuibili al proprietario, che dovrà dichiararli e pagare le tasse.

L’unica parziale eccezione a questa regola è quella delle locazioni brevi, di durata non superiore ai 30 giorni, per le quali il comodatario può – è una facoltà e non un obbligo – dichiarare egli stesso, al posto del proprietario, i redditi percepiti, ma in tal caso non potrà utilizzare il regime di favore della cedolare secca e i proventi andranno indicati in dichiarazione tra i redditi diversi [6].

note

[1] Art. 1803 Cod. civ.

[2] Art. 1804, comma 2, Cod. civ.

[3] Art. 26 D.P.R. n. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi).

[4] Agenzia Entrate, Risoluzione n. 381 del 14.10.2008 e Circolare n.24/E/2017.

[5] Cass. sent. n. 5588/21 del 02.03.2021.

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