Distacco dal riscaldamento centralizzato

Il tuo condominio è dotato di un impianto di riscaldamento centralizzato. La caldaia e gli apparati connessi, comprese le condutture, sono quindi di proprietà comune fino al punto di diramazione ai tubi nelle singole unità immobiliari (da dove invece diventano di proprietà dei condomini). Il contratto di fornitura periodica di gas viene gestito dall’amministratore che periodicamente provvede a ripartire i consumi secondo le tabelle millesimali. Hai però deciso di distaccarti: ne trarresti un beneficio sia in termini di consumi (con un impianto di nuova generazione la bolletta ti costerà di meno), sia in termini di efficienza (potrai decidere tu quando accendere e spegnere il riscaldamento, senza dover rispettare i regolamenti comunali e le decisioni dell’assemblea). Non in ultimo, non avrai più il sospetto che, nei conteggi delle bollette, ci sia qualche errore a tuo danno. Vuoi pertanto sapere come procedere, sotto un aspetto pratico e burocratico, per effettuare il distacco dal riscaldamento centralizzato. 

Oltre ovviamente a individuare una ditta specializzata per il montaggio, la messa in funzione e il collaudo dell’impianto autonomo, ti serve una risposta alle seguenti domande: per l’impianto di riscaldamento autonomo bisogna farsi autorizzare dall’assemblea di condominio e chiedere il permesso all’amministratore o basta una semplice comunicazione? Gli altri condomini possono opporsi al distacco dal riscaldamento centralizzato? Cosa fare se il regolamento di condominio non consente ai proprietari degli appartamenti di dotarsi di un impianto autonomo?

Bene, se questo è il tuo problema, non ti preoccupare: le cose sono molto più semplici di quanto ora ti possano sembrare. Qui di seguito ti daremo tutti i ragguagli del caso: ti spigheremo cioè come distaccarsi dall’impianto centralizzato, quali precauzioni adottare per non subire contestazioni e cosa rispondere ai vicini di casa che, eventualmente, abbiano qualcosa da ridire. Peraltro i tempi volgono in tuo favore: con la riforma del condominio entrata in vigore nel 2012 effettuare oggi il distacco dal riscaldamento centralizzato è molto più facile. Ma procediamo con ordine.

Ripartizione delle spese nel riscaldamento centralizzato

Se vuoi passare a un impianto di riscaldamento autonomo è probabilmente perché ritieni di pagare troppo. Ma sei sicuro che ciò non dipenda da un errore dell’amministratore? Magari potresti far rettificare le tabelle millesimali o controllare i criteri di riparto senza dover sostenere la spesa di un nuovo impianto. Nel frattempo, in questo paragrafo, ti daremo qualche dritta su come si dividono le spese del riscaldamento centralizzato per verificare di non avere magari dei crediti nei confronti del condominio per le mensilità pregresse.

Iniziamo con le spese per le riparazioni e la manutenzione dell’impianto. Queste vanno divise tra tutti i condomini che risultano allacciati all’impianto e ne possono usufruire, in proporzione ai rispettivi millesimi. Si tratta delle spese relative alla conservazione dell’impianto, quindi la manutenzione straordinaria, le opere di rifacimento, messa a norma, ecc. Come vedremo a breve, anche dotandoti di un impianto autonomo dovrai continuare a versare queste spese. Difatti l’impianto centralizzato continua ad essere – anche dopo il distacco – di tua proprietà (su base millesimale) e potresti sempre decidere di riallacciarti ad esso.

Diverse invece sono le cosiddette spese di esercizio ossia quelle relative al consumo di combustibile (gas, gasolio), di additivi necessari (lubrificanti), di energia elettrica, alla manutenzione ordinaria (pulizia, taratura) e al costo della ditta incaricata del funzionamento dell’impianto; queste sono a carico dei soli condomini che usufruiscono dell’impianto: quindi chi si distacca non deve parteciparvi.

Con riferimento ai consumi, l’impianto centralizzato con termoregolazione e contabilizzazione genera due tipi di costi:

  • costi fissi involontari, a prescindere dalle azioni compiute dal singolo condomino sui propri termoregolatori (cioè da come e quanto ciascuno sfrutti i propri radiatori). Si tratta di spese per la manutenzione della caldaia, della sua pulizia periodica, degli oneri richiesti dal tecnico che gestisce l’impianto, delle dispersioni termiche, ecc.
  • costi variabili volontari, che dipendono dagli effettivi consumi generati in ogni unità immobiliare, in base al reale utilizzo che ne fa ciascun condomino, e risultanti dalla lettura degli appositi contabilizzatori.

La ripartizione delle due voci di spesa suddette avviene secondo una normativa di settore, la cosiddetta norma UNI 10200 la quale non prevede la determinazione a priori delle due quote, fornendo invece la procedura per calcolare (annualmente) le quantità in gioco. Una volta individuato il corretto riparto delle due voci, la prima (costi fissi) viene ripartita secondo i millesimi, la seconda (costi variabili) viene attribuita mediante la lettura della registrazione del contabilizzatore. Proprio a riguardo dei contabilizzatori di calore, ricordiamo che questi sono ormai divenuti obbligatori in tutti i palazzi, a meno che una relazione tecnica dimostri che tale misura non sia tecnicamente possibile, non efficiente in termini di costi e proporzionato rispetto ai risparmi energetici potenziali. L’efficienza in termini di costi può essere valutata con riferimento alla metodologia indicata nella norma UNI EN 15459.

Ci si può staccare dall’impianto di riscaldamento centralizzato?

Occupiamoci ora del primo passaggio per il distacco: è necessario un permesso del condominio? È possibile vietare al condomino di dotarsi di un impianto di riscaldamento autonomo oppure questi può operare in autonomia senza dover chiedere il permesso a nessuno?

C’è una norma del codice civile che attribuisce ad ogni condomino il diritto di distaccarsi dall’impianto centralizzato [1] senza dover chiedere l’autorizzazione a nessuno, né al Comune, né all’amministratore di condominio, né all’assemblea. Secondo tale disposizione il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento a una sola condizione: purché dal suo distacco non derivino: 

  • notevoli squilibri di funzionamento all’impianto centralizzato e/o
  • aggravi di spesa per gli altri condomini. 

Devono sussistere entrambi i presupposti affinché il distacco sia illegittimo.

Prosegue la norma chiarendo che, in caso di distacco, il condomino con l’impianto autonomo resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma.

La logica conseguenza è che, se anche chi si distacca non deve chiedere l’autorizzazione all’amministratore, deve comunque comunicarglielo; e ciò al fine di non vedersi altrimenti addebitate, nelle successive quote condominiali, la quota parte delle bollette del gas. 

Come la mettiamo, invece, se il regolamento di condominio vieta il distacco dall’impianto centralizzato? Una recente ordinanza della Cassazione [2] ha stabilito che una tale clausola è illegittima e non va applicata in quanto lede un diritto assoluto del proprietario dell’appartamento [3]. La decisione prende così atto delle leggi sul risparmio energetico e archiviando le vecchie proibizioni contenute nei regolamenti. 

Resta tuttavia, secondo la Cassazione, la libertà dei condòmini di regolare convenzionalmente la ripartizione delle spese di riscaldamento. 

Di solito, però, la giurisprudenza ritiene lecite le limitazioni contenute nei regolamenti condominiali approvati all’unanimità. In tale ipotesi, probabilmente, la clausola con il divieto potrebbe essere ritenuta legittima [4]. Ricordiamo che il regolamento può passare all’unanimità in due diversi modi:

  • con votazione in assemblea, alla presenza di tutti i condomini e ovviamente col voto favorevole di tutti;
  • con approvazione individuale all’atto della firma del contratto di vendita dal notaio; di solito il costruttore, nel momento in cui vende gli appartamenti, fa firmare agli acquirenti l’accettazione del regolamento di condominio da questi già predisposto, così ottenendo l’unanimità. 

Essendo il  distacco  un diritto sancito, alle condizioni previste, dalla legge nazionale, la legislazione regionale non potrebbe legittimamente porre ulteriori limiti o divieti [5].

Cosa paga il condomino che si distacca?

Chi si stacca dall’impianto centralizzato, però, non smette di pagare completamente per la caldaia comune che, come abbiamo detto in apertura, continua a restare anche di sua proprietà ed alla quale potrebbe tornare in qualsiasi momento. Il codice civile [1] stabilisce dunque che il condomino che ha provveduto a staccarsi deve comunque concorrere al pagamento delle spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma. Pertanto il distacco dall’impianto  non consente di evitare di sostenere le spese per l’installazione dei sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore.

Non solo. Ci sono da pagare anche i relativi consumi involontari rilevati lungo la rete di distribuzione, in applicazione della norma Uni 10200/2013 sulla ripartizione degli esborsi: la quota è il 25% stimato dal consulente tecnico d’ufficio da suddividere fra tutti i condomini sulla base delle tabelle millesimali. Si tratta delle normali dispersioni di calore che si verificano tra i tubi del riscaldamento e che, di fatto, vanno a beneficio di tutti gli appartamenti irradiando il calore anche negli appartamenti distaccatisi.

Bisogna dunque tenere sempre conto anche della dispersione di calore che passa dai tubi degli appartamenti e finisce, sebbene involontariamente, per agevolare tutti i proprietari perché, alla fine, riscaldando le pareti, finisce per portare calore a tutte le abitazioni, comprese le scale.

Per gli impianti autonomi realizzati dal 1° settembre 2013, lo scarico della caldaia autonoma deve essere necessariamente realizzato  in modo da allacciarsi ad una canna fumaria che scarichi i prodotti della combustione oltre il colmo del tetto, essendo quasi sempre vietato lo scarico a parete, salvo il caso di insormontabili problemi tecnici.

Infine, chi si distacca deve pagare il progetto e la dichiarazione di conformità dell’impianto autonomo con relativa relazione da presentare al condominio, nonché il distacco delle tubazioni dell’appartamento dall’impianto centrale, con inevitabili opere murarie.

Come staccarsi dal riscaldamento centralizzato

Se hai deciso di staccarsi dall’impianto condominiale puoi agire direttamente, chiamare la ditta installatrice, farti montare il nuovo impianto e comunicare all’amministratore, con una raccomandata a.r. o una posta elettronica certificata, che dal mese successivo non parteciperai più ai consumi collettivi essendoti dotato di un impianto autonomo. 

L’assemblea, come abbiamo già spiegato, non può vietarti il distacco a meno che da esso non derivi un notevole squilibrio nel funzionamento dell’impianto generale e/o un aggravio di spesa per gli altri (chiaramente non può trattarsi del normale aggravio derivante dal fatto che uno dei condomini non concorrerà più alle spese generali poiché questo è scontato). Se dovesse risultare una di queste condizioni, anche un singolo condomino potrebbe farti causa per farti dismettere l’impianto autonomo. Ecco perché è buona norma, anche se non obbligatorio per legge, farsi predisporre, da un termotecnico abilitato, una perizia al fine di provare che non vi saranno squilibri o aggravi di costi. La perizia potrà essere inviata all’amministratore di condominio.

La delibera che autorizza il distacco senza una perizia, accontentandosi di quantificare forfettariamente i costi di mantenimento in capo al condomino distaccato, è nulla [6].

La delibera assembleare che, pur in presenza delle condizioni per il distacco, respinge il distacco è nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune [7].

È legittima la delibera che pone a carico anche dei condomini distaccati le spese di sostituzione della caldaia, posto che l’impianto centralizzato costituisce un accessorio di proprietà comune, al quale i distaccati potrebbero comunque riallacciare la propria unità immobiliare [8].

Il condomino distaccatosi non ha diritto a richiedere i danni o eventuali restituzioni relativi al periodo in cui ha usufruito, senza soddisfazione, dell’impianto centralizzato.

Note

[1] Art. 1118 cod. civ.
[2] Cass. ord. n. 28051/18 del 2.10.2018.
[3] Per evidente contrasto con l’articolo 1118 del Codice civile e con gli interessi collettivi dettati dalla legge 10/91 e dal Dlgs 102/2014.
[4] Trib. Napoli 20 gennaio 2010, Trib. Roma 24 agosto 2009 n. 17587.
[5] Trib. Torino 20 gennaio 2014.
[6] Trib. Roma 4 maggio 2016.
[7] Cass. 3 aprile 2012 n. 5331, Cass. 29 settembre 2011 n. 19893.
[8] Cass. 29 marzo 2007 n. 7708, Cass. 28 gennaio 2004 n. 1558, Cass. 25 marzo 2004 n. 5974.
[9] Cass. 13 novembre 2014 n. 24209.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 21 giugno – 2 novembre 2018, n. 28051
Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 21 giugno – 2 novembre 2018, n. 28051

Presidente Petitti – Relatore Scarpa

Fatti di causa e ragioni della decisione

A.L. ha proposto ricorso in cassazione articolato in due motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino n. 242/2014, depositata il 10 febbraio 2014.

Resiste con controricorso il Condominio di (omissis).

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Con ricorso depositato l’11 aprile 2011 A.L. proponeva impugnazione della delibera assembleare del 1 marzo 2011, assunta dal Condominio di (omissis), relativa all’approvazione dei rendiconti correlati al servizio di riscaldamento. In particolare, l’attore dedusse di aver provveduto nell’anno 1993 al distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento e di aver realizzato, nell’ambito della completa ristrutturazione dell’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, un impianto autonomo e completamente autosufficiente per l’erogazione del relativo servizio. A.L. asserì la legittimità di tale distacco, eccependo il mancato nocumento e l’assenza di qualsiasi squilibrio termico nei confronti della restante parte del condominio; chiese pertanto la declaratoria di nullità e/o l’annullamento della delibera assembleare impugnata in relazione ai punti 1) e 2) dell’ordine del giorno, inerenti all’approvazione della ripartizione delle spese di godimento del servizio di riscaldamento, in quanto le stesse, respinta dall’assemblea all’unanimità la proposta transattiva formulata dall’A. (pagamento di tutte le spese di manutenzione e conservazione dell’impianto, oltre un importo pari al 30% delle spese di uso ed esercizio), furono ritenute interamente di sua spettanza. Il Condominio eccepì che nel regolamento condominiale, di natura contrattuale, gli artt. 2, 9 e 13 obbligavano i condomini alla contribuzione alle spese necessarie per le parti comuni, nonché alla utilizzazione del servizio di riscaldamento, vietando l’esonero dal relativo pagamento pur in caso di rinuncia. Il Tribunale di Torino, con sentenza del 17 aprile 2012, rigettò le domande dell’A. e lo condannò al rimborso, in favore di parte convenuta, della metà delle spese del giudizio; il giudice di primo grado, rilevando che in via generale la rinuncia all’uso della cosa comune non esenta dalle spese di conservazione dell’impianto, ritenne che, nel caso di specie, il regolamento condominiale impedisse il distacco effettuato dall’attore e che non sussisteva neppure una delibera assembleare che lo consentisse, riguardando, quella impugnata, solo l’approvazione dei rendiconti e dei preventivi di gestione condominiali anche per il riscaldamento, sulla base delle tabelle millesimali esistenti, mai modificate o impugnate. Proposto gravame, la Corte d’appello di Torino, condividendo quanto rilevato dal primo giudice in ordine al contenuto del regolamento condominiale (in particolare, artt. 2, 9 comma 1 e 13 comma 3), precisò che lo stesso contemplava un divieto di distacco dall’impianto di riscaldamento, obbligando all’uso dello stesso e alla contribuzione a carico di ciascuntunità abitativa, anche in caso di rinuncia dei relativi servizi; che tale regolamento costituiva una vera e propria limitazione alla piena disponibilità della singola unità abitativa inserita nel condominio, e quindi dava luogo ad una obligatio propter rem, pienamente valida; ritenne, pertanto, superflua ogni verifica relativa ad un effettivo squilibrio termico o ad un maggior costo per l’impianto residuo di riscaldamento.

Con il primo motivo di ricorso A.L. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1118 c.c., sia relativamente al distacco dall’impianto di riscaldamento centrale, “alla luce del quale vanno interpretate le norme di cui agli artt. 9 e 13 del regolamento di condominio”, sia per aver la Corte d’appello configurato il divieto di distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento imposto dal regolamento condominiale contrattuale quale obligatio propter rem. Assume il ricorrente che, in base alla norma su richiamata, cui l’art. 13 del regolamento condominiale fa espresso richiamo, ed alla luce della giurisprudenza di legittimità recepita dalla recente riforma del condominio, deve intendersi esplicitamente ammessa la possibilità di ciascun condomino di rinunziare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento. Ne consegue che costituisce un’obbligazione propter rem non il divieto di distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento, bensì la corresponsione delle spese inerenti la conservazione di quest’ultimo.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di Appello, cosi come il giudice di prime cure, ritenuto irrilevanti le istanze istruttorie avanzate dal ricorrente, tese ad accertare il rispetto delle condizioni poste dalla legge in relazione al distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato, ovvero l’assenza di uno squilibrio termico o di un maggior costo per l’impianto residuo di riscaldamento.

Il primo motivo di ricorso risulta fondato, nei limiti di seguito precisati, con assorbimento del secondo motivo, il quale perde di rilevanza decisoria in conseguenza dell’accoglimento della prima censura.

La Corte d’appello di Torino ha rigettato l’impugnazione della deliberazione assembleare del 1 marzo 2011 del Condominio (omissis), proposta dal condomino A.L. , deliberazione relativa all’approvazione dei rendiconti e dei preventivi di gestione del servizio di riscaldamento ed al rifiuto della proposta transattiva avanzata dallo stesso condomino A.in riferimento al distacco operato dall’impianto centralizzato nel 1993, valutando la conformità di tale delibera ad alcune disposizioni del regolamento condominiale, dalle quali i giudici di appello hanno desunto l’esistenza di un valido divieto regolamentare di distacco.

Non è applicabile ratione temporis, ai fini del giudizio di validità della deliberazione impugnata, l’art. 1118, comma 4, c.c., introdotto dalla legge n. 220/2012, pur influendo tale sopravvenuta disposizione sulla permanente efficacia delle clausole dei preesistenti regolamenti di condominio.

Ora, le disposizioni regolamentari in esame (in particolare l’art. 9, comma 1) devono ritenersi valide ove interpretate nel senso che esse si limitino ad obbligare il condomino rinunziante a concorrere alle spese per l’uso del servizio centralizzato. È stato, infatti, affermato dalla giurisprudenza come sia legittima la delibera assembleare la quale disponga, in esecuzione di apposita disposizione del regolamento condominiale avente natura contrattuale posta in deroga al criterio legale di ripartizione dettato dall’art. 1123 c.c., che le spese di gestione dell’impianto centrale di riscaldamento siano a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio (per avervi rinunciato o essersene distaccati), tenuto conto che la predetta deroga è consentita, a mezzo di espressa convenzione, dalla stessa norma codicistica (Cass. Sez. 6 – 2, 18 maggio 2017, n. 12580; Cass. Sez. 2, 23 dicembre 2011, n. 28679; Cass. Sez. 2, 20 marzo 2006, n. 6158; Cass. Sez. 2, 28 gennaio 2004, n. 1558). Non è invero ravvisabile nella previsione che il rinunziante all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento debba concorrere alle sole spese per la manutenzione straordinaria o alla conservazione dell’impianto stesso, una norma imperativa non derogabile nemmeno con accordo unanime di tutti i condomini, in forza di vincolo pubblicistico di distribuzione degli oneri condominiali dettato dall’esigenza dell’uso razionale delle risorse energetiche e del miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale, ed essendo perciò i condomini liberi di regolare mediante convenzione il contenuto dei loro diritti e dei loro obblighi mediante una disposizione regolamentare di natura contrattuale che diversamente suddivida le spese relative all’impianto.

Rimane tuttavia nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, la clausola del regolamento condominiale, come la deliberazione assembleare che vi dia applicazione, che vieti in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, seppure il suo distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento né aggravio di spesa per gli altri partecipanti. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale di questa Corte, infatti, la disposizione regolamentare che contenga un incondizionato divieto di distacco si pone in contrasto con la disciplina legislativa inderogabile emergente dagli artt. 1118, comma 4, c.c., 26, comma 5, L. n. 10 del 1991 e 9, comma 5, d.lgs. n. 102 del 2014 (come modificato dall’art. 5, comma 1, lettera i, punto i, del d.lgs. 18 luglio 2016, n. 141), diretta al perseguimento di interessi sovraordinati, quali l’uso razionale delle risorse energetiche ed il miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale, e sarebbe perciò nulla o “non meritevole di tutela” (Cass. Sez. 2, 12 maggio 2017, n. 11970; Cass. Sez. 2, 29 settembre 2011, n. 19893; Cass. Sez. 2, 13 novembre 2014, n. 24209).

Conseguono l’accoglimento del primo motivo di ricorso, l’assorbimento del secondo motivo e la cassazione della sentenza impugnata, nei limiti della censura accolta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino, che sottoporrà la causa a nuovo esame uniformandosi ai principi richiamati e provvederà altresì a liquidare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

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